Le setole dello spazzolino

Il primo lucidissimo racconto breve su questo magazine online
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Le setole dello spazzolino

Attorcigliata nel letto nella stretta morsa di sua figlia, A. si svegliò insonne.

Erano le 2.37 quando gettò l’occhio sulla diagonale che attraversava la finestra, e fendeva la strada.

Le luci fioche che brillavano sul cemento, sbuffavano aliti di neon stanchi con la stessa aria seria e guardinga di alcuni spazzini che restavano congelati dal tempo e dalla noia, inflessibili, nelle loro uniformi semper grigie.

A. si era seduta nel letto, aveva poggiato saldamente tutto il peso del busto sui gomiti e aveva stretto il cuscino alla bocca dello stomaco.

Quel conato di vomito, ormai, lo conosceva fin troppo bene.

Lui dormiva là dall’altra parte del letto, separati dalla pelle della neonata, loro, dormivano agli antipodi del globo terrestre.

Era una sensazione che conosceva e che a lei, ormai , non faceva più paura.

L’amaro rannicchiato nel fondo della bocca, come un rospo che spera di essere baciato e la sensazione netta di una sedia ancorata al cuore, che ora, improvvisamente, troneggiava vuota.

A. si guardò il palmo della mano sinistra, storse la bocca in una smorfia sarcastica e si accorse, di essere estranea a se stessa.

L’amore, il suo, il loro, era finito.

Era sgattaiolato fuori dalla porta di servizio, come uno di quegli uccellini che nel ciglio della notte, spariscono, senza proferire battito d’ali.

Tutto tornava.

Fosse successo qualche anno prima si sarebbe rifugiata nella disperazione e nel raziocinio.

Avrebbe negato tutto.
Tutto quanto.
Anche solo, per darsi una parvenza di senso e di logicità.

Non era possibile, non poteva succedere, non così, non ora.
Non adesso.

Non ancora.

Non così, all’improvviso, senza nessun tipo di preavviso, nemmeno formale.

Eppure…

L’unico modo per salvarsi era trascorrere l’intera giornata a contare le setole dello spazzolino.

Lì non ci sarebbero stati margini d’errore o di sorpresa, bastava contare.

Ma ormai erano passati gli anni e così anche il gusto e il bisogno del dramma.

Così lei, guardò lui.

L’uomo che amava e che aveva amato.

L’uomo che aveva deciso di ancorare alla propria pelle e alla propria vita, l’uomo da cui aveva voluto un figlio più di qualsiasi altra cosa al mondo.

Ne scrutò il profilo inatteso, quel naso perfetto, la matassa di capelli morbidi e setosi accovacciati nell’oceano-mare dei ricci infiniti.
Ne saggiò la pelle alabastra e inspirò il profumo che si librava in volute dalle narici.

Era bello, era fiero ed era: distrutto.

Lo amerò per il resto dei miei giorni, come sempre, pensò.

Semplicemente ora, non è più il mio uomo.

Saltò giù dal letto a baldacchino con una piroetta invidiabile e decise di fare un passo di danza a piedi nudi prima di dirigersi in bagno.

Allo specchio incontrò l’immagine di una donna stanca, distrutta, ma in pace.

Sorrise tranquilla alla sua controparte e resistette alla tentazione di contare meticolosamente, le setole dello spazzolino.

Usò del dentifricio elmex, poco, e iniziò a lavarsi i denti.

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