Se esci a Campello sul clitunno prendi la prima uscita. È vero, quella rotatoria è molto strana, ma basta contare. Prendi la prima uscita, quella che ti porta in una strada di campagna dritta e lunga. Penso che potrebbe esserci scritto “Route 66”.
Dopo qualche minuto di svolte scovo da lontano un edificio molto imponente, che l’imbrunire m’ha fatto scambiare per un complesso di case popolari. Nessuna amministrazione condominiale di case popolari troverebbe il modo di accordare l’investimento comune di una luminaria così grande. Dopotutto oggi la corrente costa cara.
Da vicino non posso sbagliarmi: le recinzioni alte quattro metri non giustificano la paura di un cane sciolto che possa scappare, tantomeno quella di un’incursione inaspettata di qualche ladro rurale. Con una recinzione del genere ci si protegge dal fuori. Di notte, in lontananza, la prima cosa che vedo del carcere di massima sicurezza di Spoleto è un’enorme stella luminosa, adagiata sul tetto più alto dell’edificio più alto; si tratta del presumibilmente gradito addobbo per un natale rinchiuso in carcere, ma comunque gioioso. Poi ho pensato che l’ora d’aria nei carceri sarà di giorno, e di giorno le luci di natale non si vedono. Allora quella stella immensa è per il godimento di chi?
Ho sempre pensato che le luminarie natalizie da esterno fossero principalmente rivolte a chi le avesse allestite. Tornando a casa, in una notte di fine dicembre, ci si può compiacere del proprio operato. Se fossero rivolte ai passanti, non si spiegherebbe perché anche chi vive in case molto isolate avrebbe piacere ad esporle.
Ma la stella polare in cima al carcere di Spoleto non è di certo per il godimento dei suoi abitanti. Loro non escono di lì, e in nessuna notte di fine dicembre tornano a casa per compiacersi del proprio operato.